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Questi sposi vivono il sacramento del matrimonio come il segno più grande e misterioso della benevolenza di Dio. La loro unione è benedetta: è una confidenza dei gesti e delle parole, è una comunione e un sacrificio, è un mistero grandissimo, come quello che lega Gesù Cristo alla Chiesa. Con il passare degli anni si meraviglieranno di come è possibile amarsi così tanto, e  accogliersi nelle reciproche debolezze e nelle più nascoste fragilità.   Questi sposi provano da vicino che tra l’uomo e la donna non c’è più estraneità; e che l’anima e il corpo sono diventati una cosa sola. Gesù li ha tolti per sempre  da ogni solitudine, e per quanto è possibile non essere soli sulla terra, li manda come fermento di comunione. La semplicità del loro sguardo renderà puro il corpo e il cuore e farà crescere il desiderio di introdurre l’un l’altro al cospetto di Dio. Si ameranno tutti i giorni della vita, come Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei, per renderla santa e immacolata, mediante la carità.
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Nel disegno di Dio il sacramento del matrimonio diventa la manifestazione concreta di quell'amore che Gesù ha avuto per la sua Chiesa. Per capire qualcosa di più dell'amore di Dio per l’uomo potremmo guardare l'amore di due sposi. Le parole che due sposi si  scambiano, i loro gesti di affetto, il reciproco donarsi, il perdono e il sacrificio di sé che la  vita coniugale richiede, l'attenzione all'altro e l'accettazione dei propri limiti possono  assurgere alla dignità di sacramento. Il sacramento, mentre significa, realizza l’amore di  Dio.  I Discepoli del Signore hanno accolto la parola di Gesù che ha detto: «Questo è il  mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv  15,12); non si tratta di un amore qualsiasi, che ogni cultura può definire secondo i suoi criteri; nel  matrimonio cristiano si tratta dell’amore di Gesù. Questo amore donato porta a  compimento la benedizione di Dio sull’unione tra l’uomo e la donna: «Dio li benedisse e Dio  disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui  pesci del mare e sugli uccelli del cielo  su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen  1,28). Affidando il loro amore alla benedizione di Dio l’uomo e la donna sanno che  potranno sempre contare sulla sua fedeltà Cfr. Sequeri Pierangelo, Ma cos’è questo per  tanta gente?, Glossa, Milano, 1989, p. 38..   Per questo Paolo pensa al matrimonio cristiano in stretto rapporto con il mistero che  unisce Gesù Cristo alla  sua Chiesa:   «questo mistero è grande lo dico in riferimento a Cristo  e alla Chiesa» (Ef 5,32). La grandezza di questo sacramento appare tale solo se gli sposi lo  vivranno mettendo il loro amore al servizio del Vangelo. L’amore di Gesù rimane il criterio di riferimento ultimo  per comprendere il sacramento del matrimonio.   L’amore tra un uomo e una donna che si uniscono in matrimonio è innanzitutto un  dono e non solo un sentimento spontaneo. Questo amore perfetto, cioè la completezza di questo amore, è stato chiamato da Gesù il «mio comandamento» (Gv 15,12) o anche il  «comandamento nuovo» (Gv 13,34). Dentro questo amore è raccolta e consumata tutta la novità di Gesù, che mediante il suo Spirito è presente nella storia. Questo amore è sempre  nuovo anche oggi, non cambia le sue caratteristiche, non segue le mode del tempo, non  si adatta alla diverse temperie culturali. Per vivere in pienezza il sacramento del loro matrimonio, i Discepoli del Signore  hanno sentito il bisogno di qualcosa che richiamasse, in maniera continua, questa loro responsabilità. Perciò hanno cercato e trovato dei segni che esprimessero in modo significativo  la bellezza della loro vocazione. L’impegno di una promessa al Signore, pronunciata insieme e singolarmente, la quale li costituisce in comunità, rappresenta la modalità pedagogica con cui tengono viva la gioia del loro stato di vita. Quando si ama si cercano sempre dei segni particolari; infatti la tradizione cristiana ha sempre trovato lungo la storia modalità diverse che sapessero esprimere questo amore. Pronunciare una promessa significa per i Discepoli del Signore, innanzitutto, non  dare mai per scontata la fedeltà di Dio: pongono un segno per ricordare concretamente  nel quotidiano che Dio non abbandona mai i suoi figli. In secondo luogo, pronunciare una  promessa particolare esprime il desiderio di manifestare una certa sovrabbondanza  dell’amore, che non si accontenta mai del minimo e dell’usuale, ma cerca sempre  qualcosa di più. Attraverso la comunione della vita quotidiana nel matrimonio si impara, alla  maniera di Gesù, cosa significa scegliersi sempre di nuovo, stare insieme nei momenti di  gioia e di fatica, quando è facile parlarsi e quando sembra venir meno una certa  reciproca sintonia. In quei momenti la vita matrimoniale diventa quasi la propria bibbia,  dentro la quale si legge il segreto dell’amore di Dio, così come è stato rivelato in Gesù. E’  proprio allora che la vita matrimoniale, se vissuta in Gesù, ha una grande capacità di  trasformare i cuori delle persone. Giorno dopo giorno, la condivisione degli affetti, della  casa, dei desideri e dei pensieri, porta i due sposi a consegnarsi reciprocamente, per  generare quella comunione che fa dei due una carne sola: «Per questo l’uomo lascerà suo  padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen. 2,24). A questo punto l’amore coniugale assume le tonalità della Pasqua. Gesù, che a  Cana di Galilea vedeva da lontano la sua ora (cfr. Gv 2, 4), è giunto al momento in cui l’  ha riconosciuta presente (cfr. Gv 12,23) e nel suo sacrificio ha attirato tutti a sè  (Gv 12.32).  Questa è anche la progressiva incarnazione-esaltazione del matrimonio cristiano. Quando  ci si sposa ci si incarna, ci si lega  ad una persona, ad una casa a dei figli, a dei tempi a  degli spazi; ci si impianta in un luogo, in una situazione di vita. Come l’incarnazione di Gesù dice tutta l’assunzione che il Verbo di Dio ha fatto  nella concretezza umana e nella  contraddizione del mondo, con il rischio di venire tra la  sua gente e di non essere accolto, così è anche l’incarnazione dell’amore matrimoniale  dove si sta insieme e si rischia di non essere accolti. Ma come suggerisce Giovanni: chi  accoglie ha il potere di diventare figlio di Dio (cfr. Gv 1,12). Così nascono i figli. 
RIMANETE NEL MIO AMORE : 4. Il matrimonio
L’ incarnazione di Gesù è possibile contemplarla anche nella progressiva incarnazione del matrimonio. Quando nella Genesi la Bibbia parla di una carne sola (cfr. Gen  2,24) raccoglie tutta l’incarnazione della storia, la quale raggiunge il suo vertice in quella del Verbo di Dio (cfr. Gv 1,14). Ora il matrimonio realizza in modo particolarissimo  questa incarnazione, dalla quale non ci si può più sottrarre.  Il matrimonio cristiano toglie da ogni radicale solitudine: «E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».  (Gen  2,18). Da  questa parola della Scrittura scaturisce nel matrimonio l’inizio di ogni comunicazione. La comunicazione matrimoniale è un cammino spirituale lungo, difficile e prezioso. E’  proprio attraverso questa comunicazione che si giunge ad essere una carne sola. La simbologia sessuale raccoglie e custodisce tutte le forme comunicative, per poi   distribuirle in pensieri e sentimenti, in gesti e apprezzamenti, in intelligenza della vita e stima della persona. Infatti anche la sessualità può esprimersi interamente in un  linguaggio spirituale.   La comunicazione all’interno della coppia può assumere di volta in volta  i tratti della confidenza o della correzione fraterna. I Discepoli del Signore cercano di rimanere  fedeli a questo impegno sapendo che quando la comunicazione coniugale è molta viva, ci si apre invece a infinite possibilità e ci si sente forti, si è  pronti per ogni cosa e  si gioisce insieme della carica progettuale che scaturisce dall’amore.          Per mantenere viva la relazione comunicativa, i Discepoli del Signore, rileggono spesso la storia della loro vocazione dove ritrovano i segni della fedeltà di Dio. Proprio la  memoria della fedeltà di Dio genera la gratitudine per i doni ricevuti e li incoraggia alla  perseveranza in ogni stagione della vita, soprattutto in quei momenti in cui  sembrano scomparse le condizioni più emotive della relazione affettiva.   Solo nella considerazione della fedeltà di Dio si colloca la risposta umana di un matrimonio che dura per sempre. L'indissolubilità nel matrimonio non si rivela quindi  immediatamente come un astratto postulato di partenza, ma come uno spirituale sviluppo dell’amore; dove l’amore cresce secondo il comandamento nuovo emerge  progressivamente un’ esperienza affettiva che crea tra l’uomo e la donna un legame così forte da divenire indissolubile. Alla fine ci si accorge che Dio, nella libertà  umana, è rimasto fedele alla sua promessa. E’ allora che nel matrimonio tutto si  addomestica, cioè trova una domus, una casa, un luogo dove potersi mostrare sia nei momenti più esaltanti, sia nei momenti più fragili, sia nelle doti del temperamento dei coniugi, come nei loro difetti. Questo «rimanere nell’amore» (Gv 15,9) ci fa capire i segreti di Dio e la profondità di noi stessi, e  ravviva alla radice tutto ciò che potrebbe invece sciuparsi nella banalità o nel conflitto, nell’estraneità e nella divisione.  I Discepoli del Signore gestiscono con fiducia le inevitabili evoluzioni del loro matrimonio; vivono in reciproca riconoscenza le diverse fasi della vita di coppia; imparano  che lo Spirito supera la legge, e che la misericordia reciproca è di più di una giustizia distributiva delle responsabilità. Nella vita matrimoniale imparano tutti i giorni a  salvare, l’uno dell’altro,  ciò che potrebbe andare perduto (cfr. Lc 19,10); si diventa creativi e si ci si rimette continuamente in cammino.  Infine, i Discepoli del Signore si mantengono vigilanti perché non avvenga di lasciarsi distrarre dalle preoccupazioni materiali  della vita, senza giungere ad una piena  maturità spirituale (cfr. Lc 8,14). Per questo cercano di stabilire una giusta attenzione in rapporto a se stessi, ai figli e al lavoro. Questa capacità darà loro quella gioia e  quella pace che permette di guardare sereni i gigli del campo e gli uccelli del cielo. (cfr. Lc 12, 22-31). 
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